Come interpretare alla luce dei nuovi equilibri geopolitici la trasformazione digitale in corso? Il tema è stato affrontato con Dario Fabbri, Analista di geopolitica e Direttore della rivista Domino, nel corso del Cybersecurity Summit 2023 di The Innovation Group dello scorso 9 marzo a Milano. Riportiamo l’intervista fatta durante il Summit da Roberto Masiero, Presidente di The Innovation Group.
Roberto Masiero. Affrontiamo con Dario Fabbri il tema della sicurezza in uno scenario globale che, da febbraio dello scorso anno, è dominato dalla guerra ibrida. Fino a che punto la guerra convenzionale e quello cibernetica si compenetrano e quanto importante è quella cibernetica per vincere una guerra tradizionale?
Dario Fabbri. Con la guerra cibernetica non si vincono le guerre convenzionali, ma senza questa dimensione, non si può neanche più vincere una guerra convenzionale. In altre parole, la realtà delle cose è che la guerra cibernetica non è decisiva in assoluto, ma nello stesso tempo, non è possibile dominare una guerra o vincerla senza considerare l’aspetto cibernetico.
Questa sintesi rende l’idea dell’importanza che ha raggiunto la dimensione del cyber, che ha nettamente livellato il campo: infatti è decisamente molto meno costosa delle altre dimensioni, paragonarle è ridicolo. Livella il campo perché attori che non riescono a competere neppure lontanamente in altri campi, in questa invece riescono bene: ci sono competenze che possono essere acquisite e che si diffondono velocemente, coinvolgendo attori diversi, che cambiano nel tempo. Un Paese che ha acquisito queste competenze riesce a stare al passo, ad esempio, la Corea del Nord ha la sua principale forza nell’avere un esercito enorme rispetto alla sua popolazione, però, a livello di armamenti, non dispone di mezzi sufficienti per competere con le grandi potenze. Sul piano cibernetico invece è un attore che fa paura, ha acquisito queste capacità.
Avrete notato che le azioni cibernetiche massicce sferrate dagli Stati sono rare oltre una certa soglia. Sono invece molto diffuse entro una soglia più bassa. Non c’è oggi una guerra senza attacco cibernetico: i russi appena entrati in Ucraina hanno schermato le comunicazioni, scoprendo poi di non riuscirci, poichè è intervenuto il sistema di satelliti mobili di Elon Musk.
Oltre però una certa soglia, come mettere fuori uso il sistema elettrico di una nazione, nessuno si avventura, perché c’è la consapevolezza che il campo è livellato: se io ti attacco in questo modo, c’è il rischio altissimo che tu possa fare lo stesso nei miei confronti, anche con attori piccoli, che non sono così distanti sul piano cibernetico.
Roberto Masiero. Qual è oggi il ruolo dell’industria della cybersecurity, come fattore di competizione di singoli Paesi, in un contesto geopolitico complessivo?
Dario Fabbri. Ovviamente è decisivo. Il punto è come riuscire ad integrare l’apparato statale con quello civile e privato. A me pare che in Italia non ci riusciamo benissimo, in parte sì ma non come in altri Paesi. Questo è un punto decisivo: ho citato le guerre, ma questa dimensione è importante in molti altri aspetti, non è necessario entrare in guerra con qualcuno per capire che l’aspetto cyber è così importante. Oggi in Italia l’opinione pubblica non si considera in guerra, pur subendo continuamente attacchi cibernetici anche rilevanti.
Roberto Masiero. Andiamo sull’attualità, sono recenti le dimissioni del Direttore dell’agenzia di cybersicurezza nazionale. Il tema della collaborazione tra tecnostruttura statale e industria privata è strategico e forse un punto di debolezza nel nostro Paese. Come andrebbe sviluppata questa sinergia e collaborazione forte e strategica per livellare le nostre competenze rispetto ad altre realtà più pericolose?
Dario Fabbri. È questa in assoluto una delle nostre mancanze peggiori, siamo molto indietro. Se prendiamo il caso di Israele, vediamo che in un Paese perennemente in guerra l’opinione pubblica è molto più coinvolta, sente che questa dimensione della cybersecurity è molto importante. In Israele la compenetrazione tra apparato statale e apparato industriale avviene perché c’è una forte spinta da parte dell’opinione pubblica, consapevole che ne va della propria sicurezza. Il caso francese è ancora diverso: c’è in questo caso una cultura dirigista e lo Stato interviene pesantemente. Detto questo, resta il fatto che la nostra opinione pubblica dovrebbe avere maggiore contezza di queste vicende e questo potrebbe fare la differenza.
Roberto Masiero. Come vedi la possibilità – se esiste – di liberarci dalla subalternità digitale e della cybersicurezza in Europa?
Dario Fabbri. Dovrebbe essere possibile una maggiore collaborazione tra Paesi europei, ma ad occhi aperti. Noi italiani dovremmo essere capaci di realizzare una cooperazione che, anche se non paritaria con francesi e tedeschi, possa essere discretamente vantaggiosa, garantirci più di quanto non siamo in grado di fare da soli. Senza dimenticarci degli Stati Uniti: l’Europa di fatto vive sotto l’ombrello militare americano. Se l’aspetto cibernetico è così importante, entrando vi troviamo naturalmente gli americani, che decidono dentro la Nato anche per i Paesi europei su quanto riguarda la cybersecurity. Finché gli USA sono la prima potenza del pianeta è impossibile immaginarci questa sovranità senza loro; quindi, dobbiamo muoverci ad occhi aperti, sapendo che nessuno rinuncia ai suoi interessi, e che sicuramente la cooperazione ci conviene, l’Italia dovrebbe essere tra i principali sponsor di questo approccio.
Roberto Masiero. Passiamo allo scenario geopolitico generale: attori statuali, grandi aree di contesa come Ucraina e Taiwan, quali sono gli scenari possibili? La Russia farà un passo indietro o, con le spalle al muro, trascinerà il pianeta in una guerra nucleare? E gli Stati Uniti come sono posizionati, dovendo confrontarsi con più obiettivi strategici? Infine, qual è il ruolo della Cina in questo scenario?
Dario Fabbri. Non ho idea di come finirà la guerra in Ucraina, neanche gli attori coinvolti ne hanno idea, e questo è certamente più preoccupante. In realtà, la prima differenza che balza evidente rispetto a un anno fa è che i russi hanno cominciato a percepire la guerra come esistenziale. Se ripensiamo al discorso di Putin dopo un anno di guerra, si conferma che la Russia non può perdere il conflitto, perché è l’ultima occasione importante per essere una grande potenza. Putin tocca le corde di un Paese che vede il mondo esattamente in questo modo: va ricordato che non è Putin che ha inventato la Russia, ma è esattamente l’inverso.
Se la guerra è esistenziale, per i russi può andare avanti ancora per molti anni, come è sempre stato per loro, quindi la Nato dovrà decidere cosa fare. Se quanto fatto finora non basta, o accettiamo che la Russia si prenda una parte del paese, o ci sarà la guerra diretta: non ci sono molte altre soluzioni. Allargando il discorso, c’è un soggetto che sta approfittando della situazione, la Cina, che dopo la preoccupazione iniziale per il conflitto (essendo il primo partner commerciale dell’Ucraina), oggi non è per nulla dispiaciuta, perché nei fatti questa guerra sta distraendo gli americani. Cinesi e russi, pur non essendo amici, hanno un nemico comune, gli USA, e questo fa la differenza. La Russia si sta sfibrando, ha occupato alcuni territori ma sul piano strategico sta perdendo, e questo costringe Putin ad andare a Pechino a chiedere aiuto, e a vendere il gas sottocosto alla Cina, che, come vediamo, è sempre più interessata a un’estensione a bassa intensità del conflitto nel tempo.
Guarda il video completo dell’intervista a Dario Fabbri:
Dario Fabbri sarà tra gli Speaker del CYBERSECURITY SUMMIT 2023 il prossimo 11 maggio a Roma.
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