Intervista all’autore, Andrea Barchiesi, CEO di Reputation Manager
Il diritto all’oblio, come è stato deciso prima con la sentenza del 2014 della Corte di Giustizia europea e ora con il nuovo regolamento per la Privacy da attuare entro il 2018, sancisce il diritto per i cittadini di richiedere la cancellazione di informazioni personali dalla rete o da motori di ricerca, siti social, ecc. Non è però un’illusione quella di riuscire sempre a tenere sotto controllo tutti i propri dati oramai diffusi in innumerevoli modi su Internet, potendo richiederne in ogni momento la cancellazione? sarà attuabile da un punto di vista pratico?
Andrea Barchiesi. È necessario inquadrare il tema nel più ampio discorso dell’identità digitale, la nuova rivoluzione del nostro tempo, avvenuta negli ultimi dieci anni. Come ricordiamo all’inizio del libro c’è un’immagine che rende molto bene il senso di questa rivoluzione: nel 2006 il Times ha messo in copertina come persona dell’anno You, volendo significare già allora che il nuovo protagonista è ognuno di noi, l’individuo che grazie al web diventa perennemente esposto, proprio come un brand o un personaggio pubblico. Quello che appariamo on line quindi, la nostra identità digitale, rappresenta il nostro primo biglietto da visita: prima di incontrare qualcuno quello che facciamo sempre più spesso ormai è cercarlo su Internet, per vedere chi è, che aspetto ha, come si pone. Questa è detta “stretta di mano digitale”, perché appunto avviene prima dell’incontro effettivo e può addirittura pregiudicarlo (il 35% dei recruiters ha escluso candidati dal colloquio di lavoro per le informazioni trovate on line).
Per tornare alla tua domanda, dobbiamo distinguere i due aspetti: la possibilità di cancellare in ogni momento le informazioni e avere il controllo dei dati.
L’intenzione di rimuovere i contenuti, come ho cercato di spiegare nel libro, in molti casi si riduce ad una pericolosa tentazione, quella di voler sparire dal web semplicemente rimuovendo i contenuti non graditi e sperando che questo rimetta a posto la nostra reputazione. La strada del diritto all’oblio è lunga e lastricata di ostacoli, come ad esempio il conflitto con altri importanti diritti da tutelare quali la libertà di informazione e il diritto di cronaca, che più volte – da quando è stata emessa la sentenza nel 2014 – hanno rappresentato un limite forte all’applicazione dell’oblio, amplificando addirittura l’impatto delle notizie che si volevano cancellare nel momento in cui le testate gridavano alla censura dopo aver ricevuto la richiesta di rimozione.
L’opportunità di ricorrere al diritto all’oblio va quindi valutata caso per caso e soprattutto la rimozione delle informazioni non è l’unica via percorribile ma solo uno strumento da utilizzare, quando necessario, in sinergia con altre tecniche che servono a tutelare e promuovere l’identità digitale.
Il controllo dei dati invece è una strada perseguibile, almeno parzialmente, con una gestione consapevole delle nostre informazioni on line che è il primo aspetto da tenere in considerazione quando parliamo di identità digitale. Dobbiamo innanzitutto stare attenti a ciò che pubblichiamo noi stessi e monitorare cosa gli altri dicono di noi on line. Esiste infatti un vero è proprio ciclo di vita dei contenuti sul web, che va dalla loro creazione alla loro diffusione. Il motore di ricerca, che nella questione del diritto all’oblio è stato sempre indicato come il primo e quasi unico attore responsabile, è in realtà solo un pezzo della catena di cui noi stessi siamo un anello.
C’è poi un altro aspetto legato al controllo dei nostri dati personali: quando rilasciamo informazioni personali su internet, ad esempio all’interno dei social network che registrano la nostra vita privata, le nostre abitudini, i nostri gusti, il nostro lavoro, dove finiscono fisicamente questi dati? Dove vengono processati? La questione è stata portata dinnanzi alla Corte Europea pochi mesi fa da Max Schrems, un giovane austriaco studente in legge che ha posto la questione in modo molto chiaro. I dati dei cittadini europei vengono trasferiti dai grandi colossi americani del web negli USA e processati lì in virtù dell’accordo “Safe Harbour” approvato dalla commissione UE e negoziato con il dipartimento del Commercio, utilizzato da oltre 4.400 società tra cui Google, Microsoft, Yahoo, Twitter. Schrems a questo punto si è chiesto “Come possono essere sicuri i miei dati personali negli USA, teatro di sistemi di sorveglianza su larga scala, come rivelato da Edward Snowden, nello scandalo Prism?”. La sua obiezione, dopo un lungo iter, è stata accolta dalla Corte Europea che ha definito illegale l’accordo Safe Harbor perché dopo il caso Prism non si ha più garanzie sufficienti per la privacy degli utenti europei.
Questo è sicuramente un altro grande tema da tenere in considerazione quando parliamo di difficile controllo dei nostri dati su Internet e della possibilità di richiedere la rimozione delle informazioni. Il dato on line, come evidente da questi esempi, è qualcosa di estremamente mutevole a causa di innumerevoli fattori, ed è molto difficile rincorrerlo una volta che è inserito in questi meccanismi complessi di utilizzo e diffusione.
Se così stanno le cose, quale dovrebbe essere invece un modo corretto di “crearsi un proprio IO DIGITALE” in rete? quanti lo fanno oggi? chi ha questa sensibilità e chi invece dovrebbe fare più attenzione? quali sono i rischi nella tua esperienza?
Andrea Barchiesi. La prima cosa da fare è verificare cosa è associato al nostro nome tra i primi risultati restituiti dal motore di ricerca. Ci sono lesività? Contenuti che non ci riguardano (omonimie)? Contenuti irrilevanti che non vorremmo apparissero, mentre non ci sono cose importanti che abbiamo fatto? Dopo di che bisogna partire da un progetto, una mappa del nostro IO DIGITALE e chiederci: “Quali sono le prime cose che vorrei vedesse chi cerca il mio nome sul motore di ricerca? Quali sono gli aspetti più importanti da evidenziare tra tutte le cose che ho fatto?”
E da qui iniziare a mettere in atto delle azioni concrete per portare alla luce questi aspetti della nostra identità. Il modo migliore è quello di produrre dei contenuti che li descrivano nel dettaglio e cercare di posizionarli al meglio attraverso tecniche di ottimizzazione che favoriscono la buona indicizzazione di quei contenuti da parte del motore di ricerca. Poi c’è da considerare tutta la nostra presenza e attività sui social network: i profili social, come risulta da molte ricerche, sono le prime cose che vengono controllate da datori di lavoro, direttori del personale e recruiters, quindi innanzitutto bisogna avere una comunicazione adeguata e pensare sempre a chi ci sta osservando. I social si possono usare anche in modo proattivo per dimostrare che siamo delle persone informate e competenti, che interagiamo attivamente e con cognizione di causa sugli argomenti del nostro settore. Il vantaggio è che oltre ai testi abbiamo tanti modi di esprimerci, come video, foto e possiamo farlo in qualunque momento e da qualunque posto grazie ai dispositivi di ultima generazione.
Un rischio può essere quello di farsi prendere la mano, e quindi comunicare troppo, essere sopra le righe. Bisogna sempre mantenere un basso profilo, coerente con le nostre reali attitudini e capacità. Il web non deve essere visto come la possibilità di costruire un “Io artificioso e finto”, al contrario è un alleato per far emergere i nostri punti di forza effettivi, se usato con consapevolezza e metodo. Siamo in una fase in cui la consapevolezza è ancora molto bassa, e spesso sono proprio i profili più alti a non rendersi conto di quanto l’identità digitale sia un asset fondamentale. Il libro vuole essere un modo di condividere anche l’esperienza diretta che abbiamo avuto in questi anni, affrontando casi più o meno critici, e cercare di dare qualche consiglio pratico per iniziare a seguire la strada giusta.
È disponibile in libreria “La tentazione dell’oblio”, il nuovo libro scritto da Andrea Barchiesi, fondatore di Reputation Manager, la principale azienda italiana in materia di analisi e gestione della reputazione online. Del libro è disponibile anche l’ebook. Pubblicato da Franco Angeli, il libro affronta il tema dell’oblio, tornato alla ribalta sotto forma di diritto sancito da una ormai celebre sentenza emessa nel 2014 dalla Corte di Giustizia Europea, che consente ai cittadini europei di chiedere la rimozione dai motori di ricerca di contenuti inadeguati o non pertinenti alla loro immagine attuale. Il libro approfondisce il tema del ruolo dell’identità digitale in ambito sia personale che professionale, e si rivolge a professionisti, manager e alle figure di rilievo pubblico in generale. Ma anche alle persone comuni, perché per tutti oggi è indispensabile fare i conti con la propria identità digitale e decidere se subirla o costruirla.
Altri contenuti e materiali sono disponibili sul blog di Andrea Barchiesi www.andrea-barchiesi.it
A cura di: Elena Vaciago, The Innovation Group