Dall’inizio dell’epidemia Covid-19, tutte le aziende si sono trovate nella situazione di dover far fronte a una crisi molto grave, che ha avuto impatti diretti sulla stessa continuità del business, e a cui tutti hanno risposto con procedure d’emergenza. Misure specifiche per la protezione sanitaria della forza lavoro (come mascherine e guanti), distanziamento sociale, barriere in plexigas nei luoghi di contatto con il pubblico, e soprattutto, aspetto che è diventato prioritario per tutti a partire dal lockdown generale di fine marzo, operatività da remoto. Oggi tutti parlano di Smart Working, ma vista la situazione, in realtà sarebbe meglio parlare di Remote o Home Working.
Quali sono state le conseguenze dell’emergenza e come hanno riposto le aziende italiane per preservare la continuità operativa? per rispondere a queste domande, The Innovation Group ha lanciato nella settimana del 25 marzo un sondaggio (subito dopo il Decreto del 24 marzo con cui venivano bloccate sia la circolazione delle persone sia moltissime attività) a cui hanno risposto 99 aziende, dei diversi settori e con diversi ruoli.
Dalle risposte è emerso che metà dei rispondenti utilizzavano il lavoro Agile già in precedenza, mentre l’altra metà lo ha attivato in occasione della pandemia da Covid-19: da segnalare però che le aziende che hanno risposto al sondaggio hanno anche dichiarato di avere percentuali diverse di persone che lavorano da remoto (solo un terzo oltre l’80% della forza lavoro), con orari lavorativi diversi.
Una conseguenza diretta dell’emergenza Covid-19 è stata quindi l’accelerazione della digitalizzazione dei processi aziendali, anche se con velocità e profondità di applicazione che variavano da caso a caso. Se alcuni ambiti dell’impresa risultano infatti già informatizzati e quindi «smaterializzati» dal luogo di lavoro, altri sono ancora molto lontani da questa situazione. Inoltre, alcune aree, in primis le vendite, l’amministrazione, il servizio al cliente, hanno anche fruito – nei giorni dell’emergenza – di un «recupero di operatività» grazie a un maggiore ricorso di tutti (anche di clienti e partner) ai canali digitali.
La sicurezza è un tema importante, che si è posizionata ai primi posti tra gli investimenti richiesti dallo Smart Working. Come emerge dal sondaggio, le aziende affermano di aver implementato numerose misure di sicurezza per i remote workers, innanzi tutto VPN (77% del campione), oltre ad anti-malware (68%) e formazione ad hoc (61%).
I rischi che vanno considerati nel momento in cui il lavoro è svolto da una postazione remota sono quelli associati a un ambiente che è by default meno protetto rispetto a quello dell’ufficio: collegamenti wireless, rete domestica non protetta, router potenzialmente già infettati, utilizzo di device personali o BYOD. Le aziende sono chiamate, dalla compliance ma anche dal buon senso, a garantire che i dati aziendali, le applicazioni e le credenziali degli utenti siano protetti, le procedure basilari rispettate. Va anche considerato che gli hacker si sono prontamente adeguati alla situazione, sfruttando ogni occasione buona per portare a termine con successo i propri attacchi.