Dopo la sanzione da 11,5 milioni di euro a Eni Gas e Luce, è la volta di un operatore telefonico: la sanzione irrogata dal Garante privacy a TIM con il provvedimento del 15 gennaio 2020, è pari a 27,8 milioni di euro, e di nuovo motivata da trattamenti illeciti di dati legati all’attività di marketing. Secondo l’indagine effettuata, le violazioni avrebbero infatti interessato nel complesso alcuni milioni di persone.
Come riportato sul sito del Garante, dal gennaio 2017 ai primi mesi del 2019 sono pervenute all’Autorità centinaia di segnalazioni relative, in particolare, alla ricezione di chiamate promozionali indesiderate effettuate senza consenso (o nonostante l’iscrizione delle utenze telefoniche nel Registro pubblico delle opposizioni), oppure ancora malgrado il fatto che le persone contattate avessero espresso alla società la volontà di non ricevere telefonate promozionali. Irregolarità nel trattamento dei dati venivano lamentate anche nell’ambito dell’offerta di concorsi a premi e nella modulistica sottoposta agli utenti da Tim.
Dalla complessa attività istruttoria che ne è derivata, svolta anche con il contributo del Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche della Guardia di Finanza, sono emerse numerose e gravi violazioni della disciplina in materia di protezione dei dati personali.
In particolar modo:
- Tim ha dimostrato di non avere sufficiente contezza di fondamentali aspetti dei trattamenti di dati effettuati (accountability).
- Tra i milioni di telefonate promozionali effettuate in sei mesi nei confronti di “non clienti” l’Autorità ha accertato che le società di call center incaricate da Tim hanno, in molti casi, contattato gli interessati senza il loro consenso. Una persona è stata chiamata 155 volte in un mese. In circa duecentomila casi, sono state contattate anche numerazioni “fuori lista”, cioè non presenti negli elenchi delle persone contattabili di Tim.
- Sono state rilevate condotte illecite come l’assenza di controllo da parte della società sull’operato di alcuni call center; l’errata gestione e il mancato aggiornamento delle black list dove vengono registrate le persone che non vogliono ricevere pubblicità; l’acquisizione obbligata del consenso a fini promozionali per poter aderire al programma “Tim Party” con i suoi sconti e premi.
- Nella gestione di alcune app destinate alla clientela, inoltre, sono state fornite informazioni non corrette e non trasparenti sul trattamento dei dati e sono state adottate modalità di acquisizione del consenso non valide. In alcuni casi è stata utilizzata modulistica cartacea con richiesta di un unico consenso per diverse finalità, inclusa quella di marketing.
- La gestione dei data breach non è poi risultata efficiente, così come inadeguate sono risultate l’implementazione e la gestione da parte della Società dei sistemi che trattano dati personali (con violazione del principio di privacy by design). Disallineamenti sono emersi tra le black list di Tim e quelle dei call center incaricati, così come per le registrazioni audio dei contratti stipulati telefonicamente (verbal order). Le utenze di clienti di altri operatori, detenute da Tim in quanto gestore delle Reti, sono state conservate per un tempo superiore ai limiti di legge e inserite, senza il consenso degli interessati, in alcune campagne promozionali.
Oltre alla sanzione, l’Autorità ha imposto a Tim 20 misure correttive, tra divieti e prescrizioni. In particolare, ha vietato a Tim l’uso dei dati a fini di marketing di chi aveva espresso ai call center il proprio diniego a ricevere telefonate promozionali, dei soggetti presenti in black list e dei “non clienti” che non avevano dato il consenso.