Huawei nel mirino: spionaggio o bersaglio USA?

Huawei nel mirino: spionaggio o bersaglio USA?

Huawei nel mirino: spionaggio o bersaglio USA?

Nuove accuse per Huawei. Dopo l’arresto avvenuto in Canada lo scorso dicembre di Meng Wanzhou, figlia del fondatore del colosso cinese nonché Chief financial officer e vice presidente dell’azienda, ritenuta colpevole dalle autorità americane di una presunta violazione delle sanzioni contro l’Iran, è recente la notizia dell’arresto in Polonia di un dirigente dell’azienda accusato di spionaggio.

Nella fattispecie il gigante cinese, già da tempo finito nel mirino di Trump e dell’amministrazione USA, è stato accusato di inserire nei propri dispositivi tecnologie di backdoor volte ad aiutare il governo cinese a concludere attività di spionaggio nei paesi occidentali e, in particolar modo, negli USA.

Pur mancando prove certe, gli ultimi avvenimenti hanno avuto una grande risonanza mediatica al punto da spingere Ren Zhengfei, fondatore e CEO del colosso, a rilasciare un’intervista in cui ha definito Huawei “solo un seme di sesamo nel conflitto commerciale tra Cina e Stati Uniti” confermando, quindi, una tesi già più volte sostenuta: la vicenda nasconde lo spettro dell’interminabile tech war USA – Cina.

Ren Zhengfei, Fondatore e CEO Huawei

Che, quindi, le continue accuse rivolte a Huawei, al di là della loro fondatezza, siano parte di un piano “strategico” ben preciso attuato dagli USA per indebolire un “nemico” che sta diventando sempre più “ingombrante”?

Non si dimentichi che Huawei, oltre ad essere impegnata in prima linea nell’ambito delle sperimentazioni 5G, nel secondo semestre del 2018 ha superato per volume di vendite Apple, ottenendo il 15% del mercato globale degli smartphone (contro il 12% della Mela) e aggiudicandosi come secondo produttore mondiale degli stessi (dopo Samsung, detentrice del 20% di share)[1]. Cina e USA sono, inoltre, impegnate in una vera e propria lotta volta ad ottenere la leadership nell’ambito dell’intelligenza artificiale: le due super potenze, infatti, già durante il 2018 hanno messo in campo una serie di accordi e di piani strategici con l’obiettivo di sfruttare al meglio le opportunità derivanti dalle nuove tecnologie. La Cina, in particolare, non hai mai nascosto l’ambizione di ottenere, entro il 2030, la leadership mondiale nell’ambito dell’AI.

A rafforzare la tesi secondo cui Huawei sarebbe uno dei tanti bersagli da eliminare per permettere la piena attuazione della strategia “America First” di Trump, portando anche in campo tecnologico il protezionismo americano, è il fatto che i timori di spionaggio hanno colpito anche altri big tech cinesi, in particolar modo la multinazionale ZTE, prima “vittima” del duello tecnologico, più volte accusata (e sanzionata) già̀ durante l’amministrazione Obama per aver venduto prodotti contenenti tecnologie americane all’Iran e alla Corea del Nord.

Il Telco provider cinese, dopo un primo obbligo di cessazione delle proprie attività sul territorio statunitense, ha potuto, poi, riprendere le proprie operazioni in cambio del pagamento di una multa di 1,3 miliardi di dollari al governo USA e di modifiche al consiglio d’amministrazione e all’organizzazione, con l’ingresso di funzionari americani per vigilare sul rispetto dell’intesa raggiunta. La conseguenza è stata il crollo del titolo in borsa ed effetti nefasti anche sui mercati internazionali, primo fra tutti quello italiano dove Wind Tre (la compagnia di “riferimento” per Zte in Italia) ha dovuto trasferire ad Ericsson alcune attività di modernizzazione della rete di accesso in Italia.

Ad ogni modo, anche adesso le ultime vicende hanno causato una sorta di “effetto boomerang”: Australia, Giappone e Regno Unito hanno già deciso di estromettere Huawei dai propri mercati tlc e alcune fonti riportano che anche in Norvegia si sia aperto un dibattito sulla possibilità di vietare all’azienda cinese la realizzazione e l’installazione di nuove infrastrutture per le reti 5G. Questo nonostante non ci siano prove confermate delle attività di spionaggio ad opera di Huawei, come ha ribadito lo scorso dicembre la stessa agenzia tedesca per la cybersecurity.

Che, dunque, il piano strategico (o presunto tale) di Trump stia ottenendo i risultati sperati? Che la tech war stia diventando una “tech cold war”, una sorta di nuova Guerra Fredda tecnologica con schieramenti contrapposti?

Qualsiasi previsione è prematura, ma una cosa è certa: il testa a testa tecnologico avrà ricadute significative su gran parte dei mercati internazionali.

A cura di:

Carmen Camarca, analyst The Innovation Group

[1] Fonte: Strategy Analytics 2018